venerdì 31 maggio 2013

Lombardia: il tiròt



In giro per l'Italia possiamo trovare tanti pani e focacce tipiche, semplici o ripieni, aromatizzati o speziati, con sughetti o altri condimenti di copertura.
Nel basso mantovano la focaccia tipica è il tiròt (tirotto), una focaccia con le cipolle molto deliziosa per chi ama questo tipo di pianta; non è un caso che la cipolla sia l'ingrediente principe in questa ricetta, poiché questa zona era famosa per la sua coltivazione di cipolle gialle.
Il tiròt è tipico soprattutto di Felonica e Sermide, in provincia di Mantova; proprio a Felonica si svolge ad agosto una sagra che lo vede protagonista.
Questa focaccia semplice e parte della tradizione contadina, fa parte dell'elenco dei Prodotti Agro alimentari Tradizionali italiani.
A differenza di altre focacce, questa si presenta abbastanza bassa e può avere consistenze diverse: quella di Felonica è più morbida, mentre quella di Sermide è più secca e croccante.
Il nome tiròt sembra derivare da una fase della sua lavorazione, quella in cui l'impasto, morbido e colloso, viene tirato sulla teglia prima della cottura.
Questa focaccia veniva tradizionalmente consumata dai braccianti alla fine della raccolta delle cipolle, in un momento conviviale e collettivo, chiamato in dialetto sgansega (merenda).
Vediamo come preparare questa focaccia gradita agli amanti della cipolla!

Tiròt
Ingredienti:
  • 500 gr di farina 0
  • 500 gr di cipolle gialle
  • 1 cubetto di lievito di birra
  • 2 cucchiaini di sale
  • 1 cucchiaino di zucchero
  • 300-350 ml di acqua o latte
  • 50 gr di strutto
  • olio extra vergine d'oliva q.b.
Sciogliere il lievito in un bicchiere di acqua o di latte, con un cucchiaino di zucchero, e lasciare riposare una decina di minuti.
Disporre la farina a fontana e versare nel centro il lievito disciolto e il restante liquido, in cui si sarà sciolto il sale, poco alla volta.
Dopo avere mischiato gli ingredienti, aggiungere le cipolle tritate abbastanza fine e impastare fino a che non si avrà un impasto abbastanza omogeneo e colloso; stendere l'impasto su una teglia da forno rettangolare e lasciare lievitare, coperto da un panno e lontano da correnti d'aria, per un paio d'ore circa.
Cospargere la superficie con un filo d'olio d'oliva e infornare in forno preriscaldato a 220° per una ventina di minuti, o fino a quando la superficie sarà ben dorata.


mercoledì 29 maggio 2013

Basilicata: la focaccia alla materana



La focaccia alla materana rispecchia la semplicità e il legame con le antiche tradizioni culinarie contadine della Basilicata.
Si tratta appunto di un pane semplice, riempito con verdure e mozzarella, così da renderlo più saporito e appetibile.
Questo pane ripieno è buono come stuzzichino di apertura pasto o anche come pane di accompagnamento.
Si sa che i sapori semplici non deludono mai, quindi non potete non provarla!
Ecco la ricetta per preparare la focaccia ripiena tipica della bellissima città dei sassi.

Focaccia alla materana

Ingredienti per la pasta:
  • 600 gr di farina
  • 250 gr circa di acqua
  • 30 gr di lievito di birra
  • 1 cucchiaino di zucchero
  • 1 cucchiaino di sale
Ingredienti per il ripieno:
  • 1 cipolla grande
  • 3 pomodori maturi
  • 100 gr di olive nere snocciolate
  • 100 gr di carciofini sott'olio
  • 100 gr di funghi sott'olio
  • 1 mozzarella grande
  • 1 peperoncino
  • pecorino grattugiato q.b.
  • olio extra vergine d'oliva q.b.
Sciogliere il lievito in un bicchiere di acqua tiepida, con un cucchiaino di zucchero; disporre la farina a fontana su una spianatoia e versarvi al centro l'acqua con il lievito disciolto.
Mischiare un po' con la mano per far assorbire la farina nell'acqua; sciogliere il sale nella restante acqua tiepida e versarla poco alla volta, lavorando nel frattempo l'impasto con le mani.
Quando l'imasto risulterà liscio ed omogeneo, lasciatelo lievitare per un paio d'ore, coperto da un panno e lontano da correnti d'aria.
Verso la fine della lievitazione, pulire la cipolla e tagliarla a fettine sottili; riscaldare un po' di olio d'oliva in padella e soffriggere leggermente la cipolla.
Riprendere la pasta del pane e dividerla in due parti; ungere una teglia con abbondante olio d'oliva e stendervi la metà della pasta come base.
Guarnire con tutti gli ingredienti per il ripieno, tagliati a pezzi non troppo grandi; tritare il peperoncino e spolverarlo sulla farcia, infine spolverare il tutto con il pecorino grattugiato.
Prendere l'altra metà della pasta del pane e usarla per chiudere la focaccia, chiudendo bene i bordi, pressandoli tra loro.
Mettere in forno preriscaldato a 180°, per 45 minuti circa.

lunedì 27 maggio 2013

Lazio: la panzanella laziale

La panzanella o panmolle è una ricetta semplicissima e senza pretese, ma a modo suo davvero deliziosa.
Rientra nella tradizione della cucina povera del centro Italia, infatti la sua zona di estensione è molto vasta, e si ritrova nella Toscana centro-meridionale, nel Lazio, in Umbria e nelle Marche.
La ricetta originale prevedeva pochi ingredienti economici, pane raffermo, cipolla rossa e basilico conditi con olio d'oliva, aceto e sale, ma nel tempo si sono inseriti altri ingredienti, come il pomodoro e il cetriolo, che sono diventati parte integrante delle ricette attuali; altri ingredienti sono variamente introdotti a seconda delle zone, come anche cambia da regione a regione il modo di preparazione (per esempio in Toscana il pane bagnato si sbriciola a mo' di pappa, in altri posti viene bagnato e poi condito con gli altri ingredienti come fosse una bruschetta).
In giro per l'Italia centrale si svolgono diverse sagre dedicate a questo piatto (a Lamoli nelle Marche, ad Onelli in Umbria e a Monterotondo, poco fuori Roma)
Per quanto riguarda la paternità del piatto l'affare è discusso, ma pare che la nascita sia toscana, e in effetti la ricetta toscana un po' si discosta da tutte le altre.
A me piace pensare che la panzanella romana ha un po' una vita a sé, non viene da qualche altra ricetta, ma è solo un'invenzione semplice nostrana nata in qualche calda e povera estate del passato.
Come non ricordare la ricetta della panzanella in rima del mitico Aldo Fabrizi, romano DOC amante del buon cibo della tradizione:
E che ce vo’
pe’ fa’ la Panzanella?
Nun è ch’er condimento sia un segreto,
oppure è stabbilito da un decreto,
però ‘a qualità dev’esse quella.
In primise: acqua fresca de cannella,
in secondise: ojo d’uliveto,
e come terzo: quer divino aceto
che fa veni’ ‘a febbre magnerella.
Pagnotta paesana un po’ intostata,
cotta all’antica, co’ la crosta scura,
bagnata fino a che nun s’è ammollata.
In più, pe’ un boccone da signori,
abbasta rifini’ la svojatura
co’ basilico, pepe e pommidori.
E quindi ora vediamo la ricetta della panzanella laziale, col buon proposito futuro di dedicare la giusta attenzione anche alla corrispettiva ricetta toscana.

Panzanella laziale

Ingredienti per 4 persone:
  • 8 fette di pane casereccio raffermo
  • 4 pomodori grandi maturi
  • olio extra vergine d'oliva q.b.
  • aceto bianco q.b.
  • sale q.b.
  • pepe q.b.
  • qualche foglia di basilico
Tagliare a fette abbastanza spesse il pane casereccio raffermo e bagnarlo con acqua fresca fino ad ammollarlo ma senza farlo rompere.
Tagliare i pomodori belli maturi a metà e strofinarli sulle fette di pane, così da dargli sapore; tagliarli quindi a pezzetti e metterli sulle fette.
Condire con olio extra vergine d'oliva, aceto bianco, sale e pepe a piacere, infine guarnire con qualche foglia di basilico.
E voilà, semplice e veloce, un ottimo piatto da servire freddo nelle calde giornate d'estate!

sabato 25 maggio 2013

Liguria: i barbagiuài

I barbagiuài sono dei fagottini fritti, ripieni di zucca, brusso e riso.
Sono tipici della zona interna di Ventimiglia, specialmente della Val Nervia, e sono un Prodotto Agroalimentare Tradizionale italiano riconosciuto.
La presenza della zucca lo rende un perfetto piatto autunnale, profumato e colorato, e dal sapore dolce/salato contrastante, dovuto ai diversi tipi di ingredienti.
Il nome si riferisce al suo inventore, un certo barba Giuài, che in dialetto ligure significa zio Giovanni.
Ogni anno nel mese di settembre a Camporosso, in Val Nervia, si svolge l'ormai storica sagra dei barbagiuài liguri.
Una ricetta simile nel nome e nella sostanza è il barbagiuan, piatto della cucina monegasca.
Ma vediamo come preparare la specialità nostrana, dalla Liguria con amore per i vostri migliori antipasti ed aperitivi.

Barbagiuài

Ingredienti per la pasta:
  • 500 gr di farina
  • 2 cucchiai di olio extra vergine d'oliva
  • acqua q.b.
  • sale q.b.
 Ingredienti per il ripieno:
  • 1 kg di zucca
  • 1 uovo
  • 150 gr di riso
  • 1 bicchiere di latte
  • 100 gr di parmigiano grattugiato
  • 2 cucchiai di brusso
  • 2 cucchiai di olio extra vergine d'oliva
  • 1 spicchio d'aglio
  • maggiorana q.b.
  • prezzemolo q.b.
  • sale q.b.
  • olio di semi q.b.
Preparare la pasta per i fagottini, disponendo la farina a fontana su una spianatoia e mettendo al centro 2 cucchiai d'olio d'oliva e un po' d'acqua tiepida con un pizzico di sale sciolto.
Cominciare a lavorare la pasta, aggiungendo altra acqua tiepida un po' alla volta, fino ad ottenere un impasto liscio e compatto, che si stenda bene; lasciare riposare una mezz'ora coperto da pellicola trasparente.
Intanto tagliare la zucca a pezzetti e cuocerla con un po' d'olio d'oliva, poca acqua e il sale; quando la zucca sarà pronta, scolare l'acqua e passarla al mixer, fino a ridurla in purea.
Nel frattempo cuocere il riso in un bicchiere abbondante d'acqua più un bicchiere di latte.
Quando il riso sarà lessato aggiungerlo alla purea di zucca, unendo anche l'uovo sbattuto, il parmigiano grattugiato, due cucchiai di olio d'oliva, uno spicchio d'aglio tritato, maggiorana a piacere e due cucchiai di brusso.
Il brusso (bruss in dialetto ligure) è un tipico prodotto caseario della zona nord-occidentale dell'Italia: è un formaggio cremoso di latte ovino fermentato, tipico sia della Liguria che del Piemonte, caratterizzato da un sapore forte e un po' acidulo.
Mescolare bene tutti gli ingredienti fino ad ottenere un composto omogeneo e abbastanza compatto.
Stendere la pasta preparata precedentemente, con il mattarello o con la macchina per la pasta; l'impasto deve essere steso abbastanza fino, così da cuocere bene in frittura.
Una volta stesa la pasta, ricavare dei quadratini 10x10 cm e mettere all'interno un cucchiaio di ripieno; richiudere i quadratini di pasta a triangolo e pressare bene i bordi con le dita, in modo da sigillare i fagottini.
Riscaldare abbondante olio di semi in una padella capiente dai bordi alti; quando l'olio sarà arrivato intorno ai 180° friggere i fagottini fino a che non risultino ben dorati.
Scolare i barbagiuài con un mestolo forato e metterli su carta assorbente; servirli ancora caldi, ma anche freddi non saranno niente male!

giovedì 23 maggio 2013

Molise: la panonta di Miranda


Quando ho scoperto la panonta mi è quasi scesa una lacrimuccia dalla gioia, una montagna di ben di Dio sugnosissima, saporitissima, coloratissima, bellissima!
Di certo non è un alimento dietetico, anzi è fortemente sconsigliata a chi ha dei problemini di colesterolo..
Ma questa ricetta nasce calorica per dei motivi di necessità, non di gola. Infatti era preparata per sostenere i contadini e i pastori nelle loro lunghe e faticose giornate di lavoro in campagna e in montagna.
Era un piatto unico, pratico da trasportare e da mangiare, ed era sostanzioso per fornire tutte le energie necessarie.
Oggi questo alimento si è mantenuto tradizionalmente in alcune zone dell'Italia centro-orientale, particolarmente in Molise, dove è famosa la panonta di Miranda in provincia di Isernia, in Abruzzo e nella parte più interna del Lazio (da qualche anno a settembre nel comune di Riano si svolge la sagra della panonta).
In generale la panonta è pane fritto o unto nel grasso di pancetta, guanciale o lardo, accompagnata da ricchi condimenti; in particolare la panonta di Miranda è ancora più "esagerata" (per me non lo è, proprio lei ha animato i miei sogni): si tratta di una pagnotta di 2 chili, tagliata a fette intrise nel grasso di pancetta, farcita con salsicce, peperoni e frittata.
Vediamo come preparare questa montagna di pane godurioso, ovviamente da condividere con molte altre persone!

Panonta di Miranda
Ingredienti:
  • una pagnotta alta di pane casereccio da 2 kg circa
  • 10 uova
  • 7-8 cucchiaio di pecorino grattugiato
  • 500 gr circa di salsiccia
  • 700-800 gr di peperoni
  • 300 gr di pancetta
  • 2 spicchi d'aglio
  • prezzemolo q.b
  • olio extra vergine d'oliva q.b.
  • vino q.b.
  • sale q.b.
Tagliare la pagnotta (la ricetta tradizionale ne prevede una da 2 kg per circa 20 persone, ma si possono dimezzare le dosi ed usare una pagnotta da un kg) in 4 strati orizzontali.
Preparare una frittata della grandezza della pagnotta, con le uova, il pecorino grattugiato e il prezzemolo tritato.
Nel frattempo preparare un soffritto con abbondate olio d'oliva e l'aglio, tagliare i peperoni (verdi e rossi) a listarelle e cuocerli; separatamente cuocere la pancetta e poi aggiungerla ai peperoni.
In un'altra padella cuocere le salsicce intere con olio e un po' di vino, poi lasciarle intiepidire e tagliarle a rondelle abbastanza spesse.
Quando tutto sarà cotto, passare al riempimento della pagnotta; ungere le fette di pane nel grasso di cottura della pancetta, poi mettere sulla base del pane la frittata, coprire con uno strato di pane, disporre le salsicce a rondelle, coprire con un altro strato di pane, mettere i peperoni e la pancetta, e infine chiudere la pagnotta.
Avvolgere il tutto in un telo pulito e lasciare riposare per una notte; mangiare il giorno dopo, quando il pane si sarà intriso per bene e avrà preso tutti i sapori dei vari condimenti.
Tagliare a fette la panonta e...godetevela!

martedì 21 maggio 2013

Marche: i piconi o cacioni

I piconi o cacioni (ma anche calcioni o caciù, come al solito le denominazioni sono infinite!) sono dei fagottini di pasta ripieni di formaggio, che cambia a seconda che i piconi siano dolci o salati; sono tipici soprattutto della zona dell'ascolano.
Nella ricetta tradizionale della versione salata il pecorino la fa da padrone, anche se oggi è di uso comune smezzare pecorino e parmigiano, o addirittura mettere una dose maggiore di parmigiano, per rendere più delicato il sapore del ripieno; la versione dolce invece mantiene lo stesso tipo di sfoglia, stavolta ripieno di ricotta zuccherata.
Questo piatto è tipico del periodo di Pasqua e delle ricette simili si possono ritrovare anche nelle regioni vicine, come l'Abruzzo, l'Umbria e il Molise.
Infatti queste regioni del centro Italia condividono larghi aspetti della loro tradizione culinaria e, tra le altre cose che hanno in comune, c'è di certo il largo uso del formaggio in cucina.
Vediamo la ricetta per preparare questi saporitissimi fagottini marchigiani.

Piconi o cacioni

Ingredienti per la pasta (50-60 pezzi):
  • 500 gr di farina
  • 4 uova
  • 2 cucchiai d'olio d'oliva
  • 2 cucchiai di vino bianco
Ingredienti per il ripieno:
  • 350 gr di parmigiano
  • 350 gr di pecorino
  • 7 uova
  • pepe q.b.
Preparare il ripieno, sbattendo le uova con una forchetta ed aggiungendo un po' alla volta i formaggi grattugiati (le proporzioni possono essere cambiate a seconda dei gusti) e il pepe.
Una volta che il composto ha raggiunto una certa consistenza, lavorarlo con le mani per renderlo compatto e poi lasciarlo riposare coperto da pellicola.
Preparare la sfoglia, disponendo la farina a fontana su una spianatoia e rompendo al centro le uova; sbattere leggermente le uova, aggiungere l'olio d'oliva e il vino bianco e cominciare ad incorporare la farina nei liquidi.
Impastare fino ad ottenere un panetto liscio e sodo; formare delle lunghe strisce di pasta, spesse pochi millimetri.
Adagiare le strisce sulla spianatoia leggermente infarinata e cominciare a disporvi sopra dei mucchietti di ripieno grandi più o meno come una noce.
Lasciare dello spazio tra le pallette di formaggio, poiché servirà un po' di pasta per chiudere il volume del ripieno.
Ripiegare la pasta a metà e ricoprire i mucchietti di ripieno, pigiare leggermente intorno con le punte delle dita e poi tagliare i piconi con una rotella dentellata, usando lo stesso procedimento dei ravioli.
Disporre i piconi su una teglia con carta forno, spennellare con un uovo sbattuto e praticare una croce sulla superficie con la forbice (oppure lasciarli a mo' di ravioli); mettere in forno preriscaldato a 180° per circa 15-20 minuti, fino a quando non saranno dorati.

domenica 19 maggio 2013

Piemonte: i grissini

I grissini sono il riempipanciainattesadeipiattiordinati più diffuso nei ristoranti. E infatti non si sa quanti ne ho mangiati io nella mia impaziente voracità al ristorante..
Li adoro, sono semplici e croccanti, leggeri e sfiziosi, e così si mangiano uno dopo l'altro che è una meraviglia.
Non mi sono mai chiesta la loro storia, da dove venissero, chi li avesse inventati, quando, perché, per come; insomma non gli ho mostrato il dovuto interessamento e la mia solita curiosità che di solito rivolgo verso gli altri cibi.
Pensavo che fossero un escamotage inventato apposta per i ristoranti, per riempire la pancia dei mangioni impazienti come me. E invece no poveri grissini, loro hanno una vita al di fuori dei ristoranti.
Questi sottovalutati (da me!) bastoncini croccanti sono una specialità del torinese e la loro nascita si fa risalire tradizionalmente al 1679.
Si racconta che furono inventati da Antonio Brunero, un cuoco di corte che ideò questa ricetta per nutrire niente popo dimeno che un futuro re, l'allora bambino Vittorio Amedeo II di Savoia.
Il povero Vittorio infatti non digeriva bene la mollica del pane, così il suo medico personale Teobaldo Pecchio aveva richiesto al cuoco di cucinare un sostituto secco, che fosse più leggero e digeribile.
Ed ecco che nasce il grissino, il cui nome probabilmente deriva da ghersa, il nome del tradizionale pane piemontese dalla forma allungata.
I grissini erano comodi, a differenza del pane, poiché si potevano conservare più a lungo senza rovinarsi e poi appunto per l'alta digeribilità.
Insomma questo è il racconto della tradizione, ma testimonianze scritte e anche iconografiche (un affresco del Duomo di Chieri risalente al XV secolo) precedenti alla data di questa storia ci sono, quindi il nostro grissino o dei prototipi simili sono ancora più antichi!
La forma tradizionale è quella del robatà (in piemontese significa letteralmente "caduto"), cioè la forma classica e più conosciuta di bastoncino allungato e nodoso (dai 40 agli 80 cm), poiché fatto a mano, mentre di più recente ideazione è il grissino stirato, appunto tirato senza essere arrotolato e quindi più liscio e friabile (questo metodo è quello ormai utilizzato per la produzione industriale).
Entrambi i tipi di grissini e solo questi due, sono riconosciuti come Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani; famoso è il grissino robotà di Chieri (la stessa dell'affresco Quattrocentesco in cui un personaggio mangia un presunto grissino).
I grissini hanno avuto molti estimatori, anche molto famosi, primo fra tutti Monsieur Napoleone Bonaparte, che fece addirittura instaurare un servizio di corriera tra Parigi e Torino anche per avere un trasporto costante dei sui amati petit batons de Turin (golosone!).
E visto che sono buoni e hanno una loro dignità non posso aspettare di andare al ristorante per mangiarli, devo imparare a farmeli a casa da sola. Ecco la ricetta!

Grissini
Ingredienti per circa 40-50 pezzi:
  • 500 gr di farina
  • 250-280 ml di acqua
  • 15 gr di lievito di birra
  • 50 gr di olio extra vergine d'oliva
  • 1 cucchiaino di zucchero
  • 1 cucchiaino di sale
  • farina di semola q.b.
Sciogliere il lievito di birra con un cucchiaino di zucchero in un bicchiere di acqua tiepida (presa dal totale dell'acqua).
Disporre la farina su una spianatoia e versare al centro il composto di acqua e lievito; mischiare velocemente e poi aggiungere a filo la restante acqua, l'olio d'oliva e il sale miscelati insieme.
Impastare mentre si versano i liquidi, così da poter testare in corso d'opera la consistenza della pasta; questa deve essere abbastanza compatta, ma non dura, elastica ma non appiccicosa.
Continuare ad impastare fino a che non si otterrà un panetto abbastanza compatto e ben lavorabile.
Cospargere il piano di lavoro con la semola di grano duro e stendere sopra la pasta con un mattarello, cercando di dargli la forma di un rettangolo, spesso circa 1/2 cm.
Spennellare la superficie della pasta con abbondante olio d'oliva e spolverare con altra farina di semola; coprire a cupola e lasciar lievitare per almeno un'oretta, fino a che l'impasto non sarà raddoppiato di volume.
A fine lievitazione, tagliare il lato corto del rettangolo di pasta con un coltello dalla lama liscia e lunga, ottenendo delle striscioline spesse circa un centimetro.
Prendere le striscioline per le due estremità e tirarle delicatamente, fino ad ottenere un lungo cordoncino (i grissini tradizionali vanno dai 40 agli 80 cm), che si metterà su una teglia coperta con carta forno.
Infornare in forno preriscaldato a 200° per 15-20 minuti (dipenderà dallo spessore dei grissini), fino a che non saranno ben dorati.
Se si vuole dare un sapore diverso ai grissini classici, prima della cottura spennellare con dell'olio di oliva tutti i cordoncini e spolverarli con un po' di sale grosso pestato, con dei semi di sesamo o di papavero, o addirittura arricchire l'impasto (prima della lievitazione) con salvia, rosmarino, pepe o peperoncino.

venerdì 17 maggio 2013

Campania: le paste crisciute


Le paste crisciute o zeppulelle sono delle bellissime palline di pastella fritte.
Il risultato è una cosa meravigliosa, quando si sanno fare, in alcune pizzerie "napoletane" tirano fuori dei panini che pesano 100 chili l'uno..
Invece la pasta cresciuta è leggera e soffice, come una nuvola, è dorata fuori, bianca e alveolata dentro. Quindi care pizzerie non ci provate a far passare per pasta crisciuta quei malloppi mollicosi e compatti!
Questi stuzzichini golosissimi fanno parte dei numerosi fritti napoletani (sbav!), come i sciurilli, gli scagliozzi i crocché e le palle di riso, prodotti di friggitoria che sono radicati nella tradizione culinaria campana e soprattutto in quella della città di Napoli, dove queste delizie si potevano trovare anche per strada, cucinati sul momento da qualche ambulante  e mangiati ancora caldissimi.
Il procedimento è abbastanza semplice, bisogna solo avere un po' di pazienza nell'aspettare che la pasta lieviti e stare un po' attenti nel momento della frittura.
In alcune occasioni, soprattutto durante le feste, le paste crisciute vengono arricchite con alici, broccoli o altri ripieni, così da renderli ancora più saporite per gli eventi speciali.
Vediamo come preparare queste paste crisciute...e vai col fritto!


Paste crisciute

Ingredienti:
  • 500 gr di farina
  • 500 ml circa di acqua (dipende dalla capacità di assorbimento della farina)
  • 25 gr di lievito di birra
  • sale q.b.
  • olio di semi q.b.
Far sciogliere il cubetto di lievito di birra in una ciotola capiente con un bicchiere di acqua tiepida; aspettare una decina di minuti che si riattivi il lievito.
Aggiungere quindi la farina con il sale e versare l'acqua tiepida un po' alla volta, cominciando a mischiare l'impasto con le mani; il risultato finale dovrà essere un composto abbastanza molle.
Coprire con un canovaccio e mettere a riposare in un luogo asciutto, lontano da correnti d'aria, per 2-3 ore, o comunque fino a quando non raddoppi di volume.
Quando l'impasto sarà cresciuto, riscaldare abbondante olio di semi in una padella con i bordi alti (la pasta dovrà essere immersa nell'olio, altrimenti non si cuocerà uniformemente e con la giusta velocità, crescendo poco e assorbendo più olio del dovuto).
L'olio deve essere caldo ma non bollente (intorno ai 180°); prendere delle cucchiaiate abbondanti di impasto e lasciatele cadere nell'olio.
Fare dorare le zeppulelle e poi scolarle dall'olio con una schiumarola, trasferendole su un vassoio coperto da carta assorbente.
Spolverare con il sale e mangiare le paste crisciute ancora calde, si scioglieranno in bocca!

mercoledì 15 maggio 2013

Toscana: i crostini neri


In un antipasto toscano non possono mancare mai le bruschette, chiamate anche crostini o spesso crostoni.
I condimenti sono tra i più vari, dai fegatini di pollo alla milza di vitella, dalle alici al cavolo nero e al pomodoro (la famosa panzanella, tipica anche di altre regioni dell'Italia centrale), passando per le bontà della salumeria toscana, come il lardo di Colonnata e i vari salami e prosciutti.
Molto interessanti secondo me sono le varianti con le interiora, detti crostini neri, molto tipici della Toscana; possiamo trovare il fegato e la milza a pezzettini o ridotti ad un paté; possono essere usati per fare due diversi tipi di crostini o uniti insieme per farne uno da un unico sapore deciso e particolare.
Vediamo come preparare questi due tipi di crostini e poi se volete, potete provare a fare un mix!

Crostini neri
Ingredienti per 4 persone:
    Crostini neri toscani
  • 8 fette di pane toscano
  • 400 gr di fegatini di pollo o di milza di vitella (o metà e metà)
  • 1 cipolla piccola
  • 1 carota
  • 1 gambo di sedano
  • 4-5 acciughe
  • 1 cucchiaio di capperi
  • vino bianco secco q.b.
  • brodo q.b.
  • sale q.b.
  • pepe q.b.
  • olio extra vergine d'oliva q.b
  • burro q.b.
Scaldare un po' di burro e di olio d'oliva in padella; quando saranno caldi aggiungere la cipolla, la carota e il sedano tritati e far rosolare.
Aggiungere i fegatini di pollo (o la milza), puliti e tagliati a pezzetti; far rosolare per qualche minuto e poi irrorare con un bicchiere abbondante di vino bianco secco.
Lasciar cuocere per una mezz'oretta a fuoco dolce (la milza è cotta quando il suo colore dal rosso diventa molto scuro), bagnandoli di tanto in tanto con altro vino bianco.
Passata la mezz'ora, aggiungere le alici deliscate e sciacquate, e i capperi; salare e pepare a piacere, poi lasciar cuocere ancora brevemente, aggiungendo un po' di brodo (alcune ricette prevedono l'aggiunta di un po' di passata di pomodoro, sia per dare colore, che per smorzare il sapore forte degli ingredienti principali).
A fine cottura, aggiungere un pezzetto di burro e farlo amalgamare al resto, dopodiché levare la padella dal fuoco.
Nel frattempo tagliare il pane toscano e metterlo a bruscare in forno a 200°-220°, fino a che avrà raggiunto la croccantezza desiderata.
Quando i fegatini (o la milza) si saranno intiepiditi, tritarli con il mixer e ridurli a una purea.
Spalmare il paté sulle fette di pane ancora calde e servire i crostini neri belli croccanti.


lunedì 13 maggio 2013

Sardegna: i pistoccus

Il pistoccus sardo o biscotto di Fonni. La semplicità negli ingredienti, nella preparazione, nella forma e nella presentazione..
Niente procedimenti difficili, ingredienti ricercati, decorazioni superflue, solo un biscotto che sembra un umile bastoncino, magari non tanto bello (e invece a me piace tantissimo!), ma leggero e di una bontà disarmante!
Sono simili ai savoiardi piemontesi (non per niente questa ricetta è eredità della tradizione del regno sardo-piemontese), ma più lunghi (circa 13 cm) e per questo chiamati anche savoiardoni, hanno un colore dorato, un sapore dolce e fragrante di biscotto sempre appena sfornato e una consistenza morbida.
Questi biscottoni sono ottimi con tè o caffè (infatti sono chiamati anche pistoccus de caffei, oh ma quanti nomi!) o per preparare dolci a base di creme.
Io adoro questi biscotti, che noi tutti compriamo puntualmente al supermercato, ma vista la facilità della ricetta non vale la pena provare a farli a casa?
Certo che si, e allora ecco la ricetta per i magnifici pistoccus sardi.

Pistoccus

Ingredienti per circa 30 biscotti:
  • 200 gr di farina
  • 200 gr di zucchero
  • 6 uova
  • un pizzico di sale
  • zucchero a velo q.b.
Dividere i tuorli dagli albumi: sbattere i tuorli con poco zucchero e montare a neve fermissima gli albumi con il restante zucchero e un pizzico di sale.
Unire delicatamente gli albumi montati ai tuorli, mischiando con movimenti dal basso verso l'alto.
Quando gli albumi saranno incorporati, unire poco alla volta e sempre molto delicatamente, per non smontare gli albumi, la farina setacciata.
Foderare una teglia con carta forno e mettere l'impasto in una sac à poche con una bocchetta liscia grande.
Formare dei biscotti lunghi circa 13 cm e cospargerli con lo zucchero a velo; far riposare i biscotti per una decina di minuti e zuccherare di nuovo.
Mettere in forno preriscaldato a 180° e lasciarlo socchiuso (questi biscotti soffrono l'umidità); lasciar cuocere circa 15 minuti o fino a che saranno belli dorati.
Si può preparare una grande quantità di pistoccus e conservarli in una scatola di latta, anche per periodi abbastanza lunghi.

 

sabato 11 maggio 2013

Sicilia: il biancomangiare

Il biancomangiare è un dolce al cucchiaio dalle origini antichissime; in Italia e in particolare in Sicilia compare nel Medioevo, intorno all'XI-XII secolo.
L'origine del dolce è probabilmente francese (da un dolce chiamato blanch mangieri), ma un dolce del tutto simile, anche nel nome era presente anche nell'antica tradizione culinaria di molti paesi del Medio Oriente. E infatti sembra siano stati proprio gli Arabi a portare questo dolce sull'isola, che poi è entrato a far parte della cucina locale ed è diventato un prodotto tipico siciliano.
Il suo nome si riferisce in generale al colore bianco degli ingredienti usati per la ricetta, anzi per le ricette: ne esistevano infatti molte versioni, sia dolci che salate (con carne e pesce).
Oltre che in Sicilia, regione in cui è più famoso e diffuso, si ritrova anche in Valle d'Aosta (blanc manger) e in Sardegna (papai blancu).
Inoltre è molto diffuso nei paesi del Medio Oriente, dove ha delle origini molto antiche.
Ritornando alla Sicilia, anche al suo interno si conoscono delle varianti: alcune preparate con latte animale, altre con il latte di mandorle, altre ancora con l'aggiunta di agrumi, cannella e/o miele.
Particolarmente famoso è il biancomangiare tipico della contea di Modica, che prevede l'uso del latte di mandorle, e quello della zona di Ragusa, in cui si usa invece il latte vaccino, insaporito con il miele ibleo.
Vediamo come preparare questo dessert delicato, buono da gustare semplice o cosparso di granella di pistacchi o di mandorle tostate a scaglie.

Biancomangiare

Ingredienti:

  • 500 ml di latte vaccino o di mandorla
  • 50 gr di amido di mais
  • 100 gr di zucchero (poco più con il latte vaccino, che è meno dolce di quello di mandorla)
  • scorza di limone o arancia, cannella, miele per aromatizzare (facoltativo)
  • pistacchi o mandorle per guarnire (facoltativo)
Mettere il latte (meno un bicchiere) e lo zucchero, più gli aromi a piacere, in un pentolino su fuoco moderato.
Nel frattempo stemperare l'amido con un bicchiere di latte freddo versato a filo; mischiare bene con una frusta e passare al colino per eliminare eventuali grumi.
Quando il latte bolle, unire il latte freddo con l'amido (e se si vuole il miele) e togliere dal fuoco; girare continuamente con la frusta fino a che il tutto non si addensa.
Quando il composto sarà addensato, lasciarlo intiepidire e versare in uno stampo grande da budino o in degli stampi monoporzione inumiditi; mettere in frigo per almeno 2 ore.
Togliere dal frigo e sformare delicatamente il biancomangiare e decorare a piacere con una spolverata di cannella o con granella di pistacchio o mandorle a scaglie.

martedì 7 maggio 2013

Emilia Romagna: la torta tenerina


La torta tenerina è una torta super invitante a base di cioccolato, tipica della città di Ferrara.
Questa delizia nera non contiene lievito e quindi rimane bassa, contiene pochissima farina e compensa la mancanza con molta cioccolata!
Avendo una grande quantità di cioccolato rimane molto morbida e umida all'interno, mentre all'esterno si forma una caratteristica crosticina fina e chiara, che contrasta con la tenera scioglievolezza del suo cuore.
Vediamo come preparare questa torta meravigliosa che soddisferà tutti gli amanti accaniti del cioccolato!

Torta tenerina

Ingredienti:
  • 200 gr di cioccolato fondente
  • 120 gr di zucchero
  • 120 gr di burro
  • 3 uova
  • 50 gr di farina
  • 1 pizzico di sale

Spezzettare il cioccolato e scioglierlo a bagnomaria; aggiungere il burro e farlo sciogliere, incorporandolo bene al cioccolato.
Mentre il cioccolato e il burro si intiepidiscono, montare i rossi delle uova con lo zucchero, fino a che non si otterrà un composto spumoso.
Unire il cioccolato e il burro ed amalgamare; aggiungere anche la farina setacciata e mescolare fino a che il composto non risulti omogeneo.
In un'altra ciotola montare a neve gli albumi con un pizzico di sale; unirli al resto degli ingredienti e amalgamare delicatamente con un cucchiaio di legno, con movimenti dal basso verso l'alto.
Il composto dovrà essere abbastanza fluido; versarlo in una teglia da 24 cm di diametro, imburrata e infarinata (magari invece della farina io userei il cacao amaro in polvere, tanto per mantenere i colori!) e infornare in forno preriscaldato a 180° per 25-30 minuti.
Togliere dal forno e lasciar freddare la torta; sformarla molto delicatamente per evitare che si rompa, ricordate che è pur sempre una torta quasi priva di farina!
Disporre la torta tenerina su un vassoio e spolverizzarla con zucchero a velo o (perché no?!ingorda..) con del cacao in polvere.

venerdì 3 maggio 2013

Friuli Venezia Giulia: le favette triestine

Le favette triestine sono dei piccoli e sfiziosi dolcetti, tipici esclusivamente della zona di Trieste e Gorizia. Qui si possono trovare nel periodo autunnale, da settembre fino alla fine di novembre; sono infatti legate a questo periodo dell'anno e vengono prodotte per celebrare la ricorrenza dei defunti (infatti un altro loro nome è proprio fave dei morti).
Si preparano di tre colori diversi, il bianco, il rosa e il marrone, che simboleggiano rispettivamente la nascita, la vita e la morte.
Mi piacciono le ricette che nascono in un passato dove la cucina era associata a delle tradizioni e simbologie, dove anche i piatti volevano significar qualcosa oltre ad essere buoni. Anche in questo caso la cucina è storia e significato..
La ricetta delle favette triestine sembra fosse già conosciuta al tempo dell'impero austro-ungarico ed è presente, o meglio diverse versioni di questa ricetta, sono riportate nel famoso manuale culinario dell'Artusi "Scienza in cucina e l'arte di mangiar bene".
Questi dolcetti si trovano anche in altri posti in giro per l'Italia settentrionale e centrale, ma si differenziano negli ingredienti, soprattutto per la presenza della farina di grano, che è assente nelle fave triestine, che sono a base di mandorle, e nella durezza dell'impasto.
Ma vediamo come preparare queste piccole e delicate delizie friulane.

Favette triestine


Ingredienti:
  • 200 gr di mandorle pelate
  • 200 gr di zucchero
  • 2 albumi (circa 80 gr)
  • 2 cl di maraschino

  • 2 cl di liquore rosolio o rum (per le favette bianco crema)
  • 2 cl di sherry o alchermes + qualche goccia di estratto di rosa (per le favette rosa)
  • 2 cucchiaini di cacao + una fialetta di rum (per le favette marroni)

Pelare le mandorle e tostarle brevemente in forno; passarle nel mixer con metà dello zucchero e tritarle molto fini.
Unire gli albumi sbattuti (non tutti, potrebbero rendere la pasta troppo molla, in caso invece sarà troppo dura alla fine della lavorazione potrete sempre aggiungerli) e, cominciando ad impastare con un cucchiaio di legno, il restante zucchero, meglio se zucchero a velo, così si amalgamerà meglio e assorbirà bene l'umidità delle mandorle e degli albumi.
Aggiungere anche il maraschino e finire di impastare con le mani; il composto dovrà essere compatto ma non duro, e nemmeno troppo morbido.
Ora dividere l'impasto in tre parti e aggiungere gli ingredienti per le diverse colorazioni; reimpastare brevemente tutte e tre le parti per amalgamare gli ultimi ingredienti.
Con ogni parte di pasta, formare dei cordoncini del diametro di circa 2 cm (potete ricavare delle favette ancora più piccole se avete la pazienza di lavorare tutte le palline) e tagliarli a pezzetti di circa 2-3 cm, seguendo lo stesso procedimento degli gnocchi.
Arrotondare tutti i pezzetti ricavati, dandogli una forma sferica con le mani; disporre tutte le palline ottenute su una teglia coperta con carta forno e infornare a 130° per circa 7-10 minuti.
Le favette andranno sfornate che ancora risultano morbide, e poi si induriranno un po' raffreddandosi, quindi non aspettate che induriscano in forno, altrimenti diventeranno di pietra o peggio si bruceranno!
E questo non va bene perché le favette triestine devono rimanere abbastanza morbide e non si devono scurire; devono formare una pellicina più dura all'esterno, ma restare pastose dentro.

giovedì 2 maggio 2013

Veneto: gli zaletti

In Veneto la farina si mais la fa da padrona, dalla polenta giù fino ai dolci.
Gli zaletti (o xaletti, zalletti, zalleti, zaeti....) sono dei bei biscotti rustici veneti, che prevedono nella loro preparazione proprio la farina di mais; sono tipici soprattutto delle province di Venezia, Verona e Padova.
Ed è proprio quest'ultima che gli dona la loro tipica colorazione gialla e infatti il loro nome si riferisce proprio al colore della pasta (zaletti significa letteralmente "gialletti").
Sono dei biscotti diffusissimi in Veneto e sono conosciute diverse versioni a seconda delle zone di produzione.
Gli zaletti hanno origine antica e sono radicati nelle tradizioni venete; sono nominati ne "La buona moglie" di Goldoni, pubblicato nel 1749.
La ricetta si ritrova nel libro “La nuova cucina economica”, del romano Vincenzo Agnoletti, pubblicato nel 1803; qui i biscotti sono chiamati "zaletti alla veneziana".
Compare anche nel famoso trattato gastronomico “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi del 1891, in cui l'autore li chiama "gialletti".
Questi dolcetti appartengono alla tradizione culinaria contadina, sono a base di ingredienti poveri ma ricchi di sapore.
Vediamo come preparare questi antichi biscotti caserecci tipici del Veneto.

Zaletti

Ingredienti (versione veronese):
  • 200 gr di farina 00
  • 200 gr di farina di mais
  • 500 ml di latte
  • 4 uova
  • 150 gr di zucchero
  • 100 gr di burro
  • 1 bustina di lievito
  • vanillina
  • scorza grattugiata di 1 limone
  • 150 gr di uvetta
  • grappa q.b.
Ingredienti (versione veneziana):
  • 200 gr di farina 00
  • 200 gr di farina di mais
  • 5 uova
  • 150 gr di zucchero
  • 150 gr di burro
  • 1 bustina di lievito
  • vanillina
  • scorza grattugiata di 1 limone
  • 150 gr di uvetta
  • grappa q.b.
Per la versione veronese: 
Mettete l'uvetta in ammollo in acqua, con l'aggiunta di un bicchierino di grappa.
Nel frattempo in un tegame capiente fate sciogliere il burro con lo zucchero e poi aggiungete il latte; aromatizzate con la vanillina e la scorza di limone grattugiata.
Quando il latte raggiungerà il bollore, unite le due farine setacciate, mescolando di continuo con una frusta per non far formare grumi.
Fate bollire per qualche minuto, fino a che il composto non sarà bello denso.
Levate la pentola dal fuoco e incorporate le uova una alla volta; in ultimo aggiungete il lievito per dolci e l'uvetta rinvenuta e strizzata.
Mescolate bene tutti gli ingredienti e formate dei mucchietti d'impasto non troppo grandi, che disporrete un po' distanziati su una teglia foderata di carta forno.
Mettete gli zaletti nel forno preriscaldato a 180° per circa 15-20 minuti.

Per la versione veneziana:
Mettete l'uvetta in ammollo in acqua, con l'aggiunta di un bicchierino di grappa.
Sbattete le uova con lo zucchero fino a che il composto non diventi chiaro e spumoso.
Miscelate le due farine e il lievito per dolci e uniteli gradualmente alle uova sbattute, amalgamando delicatamente con il cucchiaio di legno.
Unite la vanillina, la scorza grattugiata di un limone e l'uvetta scolata e strizzata.
In ultimo unite il burro ammorbito a pezzetti e lavorate l'impasto brevemente con le mani, per ottenere un impasto sodo ed omogeneo.
Se l'impasto è troppo duro potete aggiungere qualche cucchiaio di grappa o di latte.
Formate dei biscotti ovali lunghi 5-6 cm e non troppo sottili; disponete gli zaletti su una teglia foderata con carta forno e mettete in forno preriscaldato a 180° per circa 15-20 minuti.

mercoledì 1 maggio 2013

Puglia: i pasticciotti

I pasticciotti sono dei piccoli e deliziosi dolcetti pugliese, tipici in particolare della zona del Salento.
Secondo la leggenda questa ricetta sarebbe nata nel 1745 a Galatina, un paese in provincia di Lecce, nella pasticceria della famiglia Ascalone (che esiste ancora oggi!); sembra che le festività di San Paolo (è interessante sapere che in Puglia questo santo è legato al fenomeno del tarantismo), Nicola Ascalone stava cercando di ideare un nuovo dolce per risollevare le sorti economiche della sua pasticceria. Per caso gli avanzava un po' di frolla e un po' di crema pasticcera e, non potendole usare per altri dolci, decise di creare un piccolo pasticcio di pasta frolla ripiena di crema; lo regalò ad un passante e da quel momento il successo fu immediato e la fama del dolce si diffuse.
La prima fonte realmente storica in cui è citato questo dolce risale al 1707, precisamente in un inventario redatto al momento della morte del Monsignor Orazio Fortunato.
Oggi è un dolce onnipresente nel Salento e a Lecce è registrato come prodotto PAT; proprio in questa città il dolcetto è diventato la tipica colazione dei suoi abitanti, che lo consumano ancora caldo al bar, al posto del cornetto.
Per prepararli esistono degli appositi stampini di forma ovale, alti circa 3 centimetri; inoltre esiste anche la versione grande, cioè la torta pasticciotto.
Oltre la ricetta classica, a base di pasta frolla (rigorosamente con strutto) e crema pasticcera, si possono trovare anche pasticciotti con l'aggiunta di amarene o profumati all'arancia, ripieni di crema al cioccolato o anche con la stessa frolla al cacao.
Vediamo come preparare questo tipicissimo dolcetto salentino.

Pasticciotti

Ingredienti per la pasta frolla per circa 15 pezzi:
  • 500 gr di farina 00
  • 250 gr di strutto (o burro)
  • 250 gr di zucchero
  • 3 tuorli + 1 uovo intero
  • 1 bustina di vanillina
Ingredienti per il ripieno:
  • 5 tuorli
  • 150 gr di zucchero
  • 500 ml di latte
  • 1 stecca di vaniglia
  • 50 gr di farina (o maizena)
  • amarene sciroppate (facoltative)
  • 1 albume + 2 cucchiai di latte per spennellare
Preparate la pasta frolla, sbattendo i tuorli e l'uovo intero con lo zucchero e aggiungendo poi lo strutto e la vanillina; amalgamate lo strutto un po' alla volta e poi cominciate ad aggiungere la farina, lavorando dapprima con una forchetta e poi con le mani (la quantità di farina necessaria dipende anche dalla grandezza delle uova, quindi regolatevi anche controllando la consistenza della vostra pasta).
Lavorate abbastanza velocemente il composto, fino ad ottenere un impasto liscio e sodo; ricopritelo con la pellicola trasparente e fatelo riposare in frigo per una mezz'oretta.
Nel frattempo preparate la crema pasticcera per il ripieno; mettete il latte e la bacca di vaniglia aperta in un pentolino e scaldate su fuoco basso.
Nel frattempo sbattete i tuorli con lo zucchero e aggiungeteli al latte, mescolando con una frusta; aggiungete gradualmente anche la farina setacciata, sempre continuando a mescolare per non far formare grumi.
Tenete sul fuoco e mescolate fino a che la crema non si sarà addensata; poi levatela dal fuoco, copritela con la pellicola trasparente e lasciatela raffreddare, prima a temperatura ambiente e poi in frigo.
A questo punto riprendete la pasta frolla e stendetela ad uno spessore di 5-6 mm; ricavatene degli ovali e foderate gli stampini (quelli appositi sono ovali e alti 3 centimetri), già imburrati e infarinati.
Riempite ogni stampino con la crema pasticcera e, se volete, aggiungete un paio di amarene sciroppate; ricoprite gli stampini con un coperchio di pasta frolla e sigillateli bene.
Sbattete un tuorlo d'uovo con un paio di cucchiai di latte e spennellateci la superficie dei pasticciotti.
Mettete in forno preriscaldato a 180° per circa 30 minuti, fino a che la loro superficie sarà dorata.
Sfornate i pasticciotti, fateli intiepidire leggermente e serviteli ancora caldi.

Umbria: la crescionda

La crescionda è un dolce tipico della zona di Spoleto e non molto diffuso (e a volte sconosciuto!) nel resto dell'Umbria.
Inizialmente era preparato durante il periodo di Carnevale, ma ora si prepara e si trova in commercio durante tutto l'anno.
Le origini di questa ricetta sono molto antiche, probabilmente risalgono al lontano Medioevo; a quel tempo la ricetta e i suoi ingredienti erano un po' diversi, basti pensare che veniva preparata con ingredienti come il brodo di gallina, il pecorino, il pangrattato, ma anche le uova, il limone grattugiato, lo zucchero e, più in là nel tempo, venne aggiunto anche il cioccolato.
Insomma un vero misto di sapori, nettamente agrodolce, molto apprezzato nell'antichità ma troppo distante dai gusti moderni.
Oggi la crescionda è un dolce molto particolare, in fatto di sapore e consistenza, ma risulta molto piacevole e dal sapore meno agrodolce!
Si presenta come un dolce basso dal colore molto scuro, al cui interno racchiude tre strati differenti: uno strato più compatto in basso, dove si posano gli amaretti, uno strato mediano cremoso o quasi budinoso, e uno strato superiore scuro e più secco, dato dal cioccolato.
Vediamo come si prepara questo antico e prelibato dolce spoletino.

Crescionda

Ingredienti:
  • 300 gr di amaretti
  • 6 uova
  • 750 ml di latte
  • 40 gr di farina 00
  • 100 gr di zucchero
  • 100 gr di cioccolato fondente (o cacao)
  • scorza grattugiata di 1/2 limone
  • 1 bicchierino di rhum o mistrà
  • 1 pizzico di sale 
Per prima cosa tritate finemente gli amaretti nel mixer e metteteli da parte in una ciotola.
Separate i tuorli dagli albumi e sbattete i tuorli con lo zucchero, fino a che quest'ultimo non sia sciolto.
A questo punto aggiungete la farina setacciata, mescolando con una frusta per non far formare grumi.
In seguito aggiungete un poco alla volta il latte e poi gli amaretti tritati, la scorza grattugiata di mezzo limone e il cioccolato fondente tritato finemente (o il cacao amaro).
Infine unite un bicchierino di rhum o mistrà a vostra scelta e amalgamate bene gli ingredienti.
Montate a neve ferma gli albumi, messi da parte precedentemente, con un pizzico di sale; aggiungeteli agli altri ingredienti e incorporateli delicatamente con una spatola, con movimenti dal basso verso l'alto.
Il composto dovrà risultare molto liquido, quindi non preoccupatevi se vi sembra troppo fluido.
Versate l'impasto in una teglia foderata con carta forno oppure imburrata e ben infarinata; mettete in forno preriscaldato a 180° per 20-30 minuti.
Levate dal forno e far raffreddare completamente, così che il dolce prenda la sua giusta consistenza finale.